Com’è affascinante questa parola.
A f r o r e.
Il termine, purtroppo oggi desueto, rimanda all’estate, quando l’energia del sole accelera i processi di fermentazione e putrefazione della materia organica.
Il dizionario Treccani definisce l’afrore come un odore pungente che esala da materia organica in fermentazione o anche da altri corpi o sostanze.
Il ciclista capitolino conosce bene questa parola, soprattutto il suo significato. Anzi no, ‘conoscere’ non è il verbo giusto. Ricominciamo: il ciclista capitolino VIVE l’afrore, VIVE il suo significato.
Costretti spesso a percorrere la destra estrema della carregggiata, i ciclisti capitolini per forza di cose sfrecciano a pochi centimetri dai cassonetti della spazzatura, ergo: vivono l’afrore urbano. Lo vivono per forza di cose, basti considerare che le molecole emanate dai rifiuti sia dentro che fuori i cassonetti, vengono inspirate a pieni polmoni dai ciclisti e finiscono nei loro bronchi e bronchioli, con grande gioia dei loro mitocondri.
L’afrore urbano sa di mondezza [cit. Jacques La Palice], di mercato rionale alle 14:00, di frutta marcescente, ma anche di merda. La puzza di merda è l’ultimo retrogusto che lasciano i cassonetti nelle nostre trachee. Come dire che non c’è fine al peggio, e se c’è, è una fine di mmerda. Con due ‘m’.
È possibile evitare di assumere le molecole dei rifiuti contenute nell’afrore cassonettaro solo in parte, e nemmeno sempre. Lo staff di PsD consiglia di:
– percorrere la traiettoria più distante dal cassonetto, traffico permettendo.
– evitare di ricorrere al marciapiede dal momento che questa pratica è vietata dal codice della strada e non risolve del tutto il problema, a meno che il marciapiede in questione non sia molto largo e sgombro da pedoni, nel qual caso sbrigatevi a pedalarci sopra.
– trattenere il respiro, a meno che non state pedalando in salita.
– cominciare a separare i rifiuti a casa, e in generale cercare di limitare al massimo la produzione di rifiuti. Questo è un consiglio che va esteso a tutti, non solo ai ciclisti. Tra l’altro, questo è IL consiglio. Limitare la propria produzione di mondezza è l’unico modo per ridurre l’afrore urbano.
Invitiamo tutti i lettori a lasciare nei commenti le proprie esperienze con l’afrore urbano, financo i loro suggerimenti per evitarne l’assunzione. Con una piccola avvertenza: non è questa la sede per riflessioni ‘serie’ sullo stato del servizio di nettezza urbana a Roma o per digressioni ‘meh’ sul decoro urbano. Se qualche lettore prova un senso di rabbia nei confronti dell’amministrazione comunale, può esprimere i suoi sentimenti in sedi più consone.
Qui si lasci volare nell’aria il grido di rabbia di chi, pur offrendo un servigio senza prezzo alla mobilità urbana, vive e respira l’afrore dei cassonetti.
Io ho l’impressione che tipo 5-6 anni fa i cassonetti puzzassero in modo diverso. Quella puzza di merda che dite voi qualche anno fa non c’era.
Poi boh, magari è un’impressione solo mia…
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Caro Francesco, anche noi abbiamo questa impressione, e forse non si tratta solo di un’impressione sfuggente, visto lo stato del servizio di N.U. a Roma…
Però da qui all’oggettività la strada è lunga e passa attraverso rilevazioni effettuate con metodi scientifici.
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